Marco Lombardi, Il terrorismo nel nuovo millennio, Vita e Pensiero, Milano 2016
Il
testo pur nella sua brevità risulta essere molto utile e interessante
per inquadrare e delineare il problema del terrorismo jihadista del XXI
secolo anche attraverso esempi diretti. Benché il volume cerchi di
offrire uno sguardo complessivo sul terrorismo, il suo focus principale è
sulla minaccia posta in essere dal sedicente Stato Islamico. L’autore,
Marco Lombardi direttore del centro di ricerche ITSTIME e docente di
Crisis management and risk communication presso l’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano, si focalizza sull’attualità, ma non manca di
sottolineare alcuni elementi più lontani nel tempo come per esempio il
fatto che l’11 settembre 2001 fu anticipato dall’omicidio di Ahmad Shāh
Massoūd, comandante dell’Alleanza del nord una milizia che si opponeva
ai Talebani e ad al-Qaeda in Afghanistan, e che colui che portò a
compimento l’azione fu un tunisino immigrato in Belgio. Quest’ultimo
aspetto ci riporta proprio al flusso di foreign fighters su cui
ISIS ha costruito gran parte delle sue fortune, perché la Tunisia è il
Paese che ha maggiormente contribuito e il Belgio è, come sappiamo, un
Paese con alti tassi di radicalizzazione e da dove sono partiti anche
gli attentatori di Parigi e non solo.
Uno degli elementi distintivi
di ISIS rispetto a gruppi precedenti similari è il controllo
para-statale del territorio, il che rende la milizia un attore di una
moderna guerra ibrida ovvero “un conflitto pervasivo, diffuso e
delocalizzato” figlio della globalizzazione (p. 11). La guerra del XXI
secolo non è quindi confinata a un territorio bensì è composta da azioni
interconnesse che si svolgono ovunque sul globo legandosi ad attori di
vario genere dai terroristi ai criminali. In questo quadro diventa
centrale la comunicazione (d’altronde questo è uno degli elementi
distintivi del terrorismo in genere) tanto che si potrebbe parlare di
una guerra della comunicazione (p. 13).
Il primo capitolo si
focalizza sul problema definitorio del terrorismo. L’autore sostiene
giustamente che le attuali organizzazioni terroristiche sono flessibili,
capaci di adattarsi rapidamente, ma resta il fatto che un atto, per
essere etichettato come terrorismo, debba avere una motivazione politica
(elemento questo fondamentale per distinguerlo da altre azioni di
violenza privata) e usa gli attentati per promuovere, attraverso i
media, il terrore (p. 26).
Il capitolo 2 si focalizza sul problema dei foreign fighters e della radicalizzazione in Europa e non solo. Interessante in questo quadro la riflessione che viene fatta sul concetto di zoombie
che, nell’accezione qui utilizzata, deriva dal linguaggio informatico
con cui si identifica un computer infettato da un virus che però rimane
silente finché non viene attivato nel momento opportuno. Il terrorismo
attuale sarebbe quindi organizzato in “singolarità competenti e
addestrate al combattimento che si trovano in reti semi-strutturate e
flessibili” (p. 33).
Il capitolo 3 torna a riflettere sul problema
della guerra ibrida e offre alcune riflessioni per combatterla come ad
esempio l’impiego dell’intelligence, il controllo dell’informazione, la
collaborazione con i civili. Ciò di cui però bisogna essere coscienti, e
non potrei essere più d’accordo con l’autore, è che non cambia la
natura della guerra bensì “cambia il modo in cui le forze interagiscono e
si scontrano fra loro” (p. 44). Ovvero mutano gli strumenti e anche la
conformazione del campo di battaglia più urbano, da un lato, più ampio e
meno delimitato dall’altro.
Il capitolo 4 si focalizza sullo
sviluppo e l’organizzazione di ISIS, un tema oggi un po’ superato dagli
eventi ma che però è utile per ricostruire la parabola del gruppo, che è
ancora una minaccia, e per capire meglio alcuni suoi funzionamenti. Ne
emerge l’immagine di un gruppo opportunistico in grado di cogliere i
momenti e i luoghi di instabilità politica e sociale per radicarsi.
ISIS, come gli altri gruppi simili, trova terreno fertile nei vuoti di
potere ed è questo elemento che va combattuto e risolto se si vuole
evitare che ISIS o altre milizie prendano piede.
Il capitolo 5 si
focalizza su ciò che forse maggiormente distingue ISIS da altri gruppi
similari, ovvero l’uso dei media. Il terrorismo in genere si è sempre
appoggiato ai media, ma Daesh ha portato il tutto a un nuovo livello.
Quasi ogni azione viene ripresa per creare poi video di propaganda da
diffondere su internet che è un ottimo strumento di diffusione per
fondare una comunità di credenti ampia e globale (p. 75). La
comunicazione dello Stato Islamico si basa, secondo Lombardi, su alcuni
aspetti centrali: uso massiccio dei social media; video per comunicare
l’orrore (si pensi ai video delle varie esecuzioni e decapitazioni);
diffusione di una efficace contro-narrazione; sviluppo di vari prodotti
informativi come riviste, giochi, radio e tv (pp. 83-84). Il tutto è
inserito in una strategia complessiva gestita da un’unica regia che ha
ben chiari gli obiettivi da raggiungere attraverso quella produzione
mediatica che va di pari passo alle operazioni politiche, militari ed
economiche sul campo.
Il testo è agile, di facile lettura ma completo e intrigante per lo sguardo che riesce a dare sia sul fenomeno ISIS in particolare, sia sulle minacce alla sicurezza del XXI secolo più in generale con riflessioni importanti sulla guerra ibrida, le connessioni tra terrorismo e criminalità e l’impiego dei moderni mezzi di comunicazione.