A fine maggio ho tenuto una giornata di lezione sul tema “Le Small Wars di Albione: da Callwell all’esperienza della repressione in Iraq” nel quadro del seminario di Storia militare organizzato dal prof. Marco Di Giovanni e dalla SUISS presso la Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino dal titolo “Le guerre dopo la Guerra. Small Wars d’oltremare nell’area mediterranea e medio orientale”. Ho avuto così l’occasione di parlare per 5 ore di guerra irregolare, small wars, Callwell e di altri autori e testi meno conosciuti come l’italiano Masi o Imperial Policing di Charles W. Gwynn.
Quello che ho cercato di mettere in luce è la natura profondamente diversa di questa tipologia di conflitti rispetto alla più tradizionale e convenzionale guerra fra stati. Il tema è quanto mai importante visto che nell’attuale contesto internazionale, le guerre non statuali rappresentano il tipo di conflitto dominante e capirne la natura profonda e gli elementi caratteristici diventa un passo fondamentale per cercare di comprendere in modo più profondo il tipo di minacce che ci circondano.
In questo contesto, benché opere sul tema non manchino, il testo più importante è indubbiamente quello di Callwell, Small Wars di cui curai l’edizione e la traduzione alcuni anni fa per la Libreria Editrice Goriziana. Il volume fu scritto a fine XIX secolo e si focalizza sulle guerre coloniali, ma rappresenta tutt’ora una lettura obbligata per chi si avvicina al tema della guerra irregolare. Già dalla definizione stessa di small wars capiamo che ci stiamo addentrando in un tema molto ampio, infatti Callwell sostiene che una small war “include tutte le campagne tranne quelle in cui entrambi i contendenti sono composti da truppe regolari” (p. 71). Di conseguenza la natura del conflitto muta così come le regole strategiche e infatti l’autore, che aveva un lunga esperienza di guerre coloniali, afferma che “ogni volta che un esercito regolare si trova coinvolto in ostilità contro truppe irregolari, o forze che nel loro armamento, organizzazione e disciplina sono in modo evidente inferiori a lui, le condizioni della campagna diventano distinte da quelle della guerra regolare moderna” (p.72).
In tali contesti bellici è impossibile avere sotto controllo tutto il teatro operativo, ne consegue che forme di contrabbando e illegalità continueranno ad avere uno spazio importante. Questo è un tema oggi centrale se pensiamo al ruolo del mercato nero nel finanziare attraverso la vendita di armi le varie fazioni in lotta che a loro volta vendono prodotti quali petrolio, manufatti archeologici, droga sul mercato globale.
Siccome in tali contesti l’aspetto culturale diventa centrale, è assolutamente necessario conoscere il proprio nemico non tanto a livello quantitativo (quante armi o uomini possiede o può schierare), quanto a livello qualitativo, ovvero la sua cultura, la sua società, il suo modo di pensare e agire. Nelle parole di Callwell “nelle small wars i costumi, le usanze e i metodi di azione sul campo di battaglia del nemico dovrebbero essere studiati in anticipo. Questo non è richiesto solo al comandante e al suo staff; tutti gli ufficiali dovrebbero conoscere la natura dell’avversario e dovrebbero capire quale sia il modo migliore per affrontarlo” (p. 82). Non solo ma questo studio va ripetuto per ogni contesto bellico e situazione conflittuale.
Un altro elemento importante dell’opera di Callwell è la sua idea di delegare ai subordinati sul campo le decisioni, poiché sono loro a conoscere la realtà locale. Questo aspetto è poi un topos di tutta la letteratura legata alle guerre irregolari e alla controinsirgenza. “Si deve lasciare una grande libertà ai subordinati, il cui giudizio dovrebbe rimanere il più possibile libero da vincoli […] In nessuna tipologia di guerra c’è un bisogno così urgente di ufficiali subordinati autosufficienti come nelle operazioni di questa natura e la mancanza di tali ufficiali potrebbe rovinare anche le migliori operazioni” (p.171).
Ciò che conta in questi conflitti è l’aspetto morale: bisogna combattere il morale del nemico prima della sua forza militare che in generale è sempre molto più limitata rispetto all’esercito regolare. “Il nemico non può essere colpito nel suo patriottismo o nel suo onore, egli può essere colpito attraverso le sue tasche” (p. 52). Tuttavia la violenza deve essere commisurata all’obiettivo che si vuole raggiungere: “l’intimidazione e non l’esasperazione del nemico è il fine che bisogna avere in mente” (p. 53).
Quest’ultima è sicuramente una riflessione che sarà fatta poi propria dai vari teorici della contro-insorgenza come Galula o Trinquier i quali vedranno nella necessità di “conquistare i cuori e le menti” della popolazione locale la chiave di volta di questa tipologia di conflitto.
Il testo di Callwell è quindi una pietra miliare nel dibattito militare e strategico sulle guerre non statuali. Pur affrontando esempi di conflitti lontani nel tempo le riflessioni contenute nel volume sono molto attuali e da un lato ci aiutano a capire meglio alcune realtà strategiche attuali e dall’altro creano un contesto storico in cui inserire tutto il dibattito legato al tema della controinsorgenza.
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