21 Novembre, 2024

Chernobyl vs Coronavirus

In questi giorni di coronavirus ne abbiamo sentite un po’ di tutte i colori, io non sono né un medico né un esperto virologo per cui qui propongo solo alcune riflessioni politiche su questa situazione di emergenza. Essendo ormai immersi da qualche tempo in tale condizione abbiamo appurato che non si tratta di una semplice influenza come purtroppo si è sentito dire all’inizio da qualcuno, anche tra i cosiddetti “esperti”. Non lo è per i rischi che comporta, per la capacità del virus di infettare e dunque per le ricadute pesanti che può avere sul sistema sanitario italiano (che è sostanzialmente il problema principale visto che da esso dipende anche chi non è infetto).

Un altro parallelismo che si è sentito fare in questi giorni è quello con ciò che avvenne il 26 aprile 1986, ovvero l’incidente nucleare a Chernobyl in Ucraina all’epoca stato incluso nel dominio sovietico. Più di un mio coetaneo ha detto nei giorni scorsi frasi simili a questa “noi nel 1986 mica siamo rimasti a casa da scuola”. Vero, mi ricordo perfettamente di una passeggiata con i compagni delle elementari per il centro del paese proprio quel maggio. Il problema è che le due situazioni pur similari sotto alcuni aspetti sono molto diverse per altri elementi cruciali. Inoltre, il fatto che noi in Italia avessimo continuato ad andare a scuola in quelle settimane non significa minimamente che in altre zone la situazione fosse diversa. Infatti, nelle aree più vicine al disastro, soprattutto nei paesi scandinavi verso cui la nube radioattiva principale si era diretta, chiusero scuole e uffici.

Proprio sul disastro di Chernobyl, sulle cause, le conseguenze immediate e di lungo periodo, la gestione di quell’emergenza assoluta e l’impatto sulla popolazione vi consiglio la lettura dello splendido libro di Sergej Plokhy, professore di storia ucraina all’Università di Harvard, Chernobyl. Storia di una catastrofe nucleare. Un testo completo su quell’evento perché ricostruisce la storia della centrale sin dalla sua progettazione, la storia personale dei principali responsabili che lì lavorarono, la storia del famoso test di sicurezza che causò l’esplosione, la storia di tutto ciò che avvenne dopo (dai soccorsi alle prime misure di sicurezza, fino alle fasi più avanzate della messa in sicurezza del reattore) e si chiude con una breve storia dell’Ucraina post 1989 e del nucleare post sovietico.

La lettura non è certamente semplice sia per il dramma umano e ambientale che quelle pagine raccontano, sia perché l’autore entra in diversi dettagli tecnici sul reattore, il test e il nucleare in generale fondamentali per comprendere l’incidente, ma ovviamente di non facile comprensione per i non addetti ai lavori.

Al di là di tutto, quello che colpisce di questo libro, e che lo si vede chiaramente anche nella miniserie tv della HBO andata in onda l’estate scorsa su Sky, è l’ignoranza totale anche dei rischi più immediati e, per noi che viviamo nel post-Chernobyl, ovvi. Il libro racconta per esempio di come uno degli ingegneri presenti la notte del disastro fosse stato mandato a verificare il reattore sostanzialmente condannandolo a morte poiché fu costretto a letteralmente guardare dentro il reattore vestito con il camice bianco da laboratorio. Da pelle d’oca la scena della miniserie in cui i primi pompieri arrivano per spegnere quello che credono essere un incendio e si trovano invece a pochi metri dal reattore scoperchiato senza alcun indumento protettivo. Il libro riporta la storia di un abitante di Prypiat, la cittadina ormai disabitata che era sorta per ospitare i dipendenti della centrale, che si mise a prendere il sole sul terrazzo il giorno successivo al disastro tornando a casa perfettamente abbronzato nel giro di poco tempo, peccato che quel colore della pelle non era dovuto al sole, ma ovviamente all’esposizione alla nube nucleare. Altro simbolo di quell’impreparazione, ma anche della volontà politica di minimizzare l’incidente, è il fatto che il primo maggio 1986, ovvero 5 giorni dopo l’incidente quando ancora il reattore era scoperto e non si era riusciti a contenere minimamente la fuoruscita di particelle mortali (cosa che avverrà a fatica soltanto settimane dopo), le autorità di Kiev non fecero stare in casa la popolazione bensì fecero svolgere come nulla fosse i festeggiamenti per la festa dei lavoratori con tanto di discorsi in piazza, sfilate e manifestazioni all’aperto condannando a morte o a gravi malattie migliaia di persone.

Il testo è utile per comprendere quell’incidente particolare, ma anche per mettere in guardia dall’ignoranza e dalla faciloneria che troppo spesso emergono in momenti di crisi e in situazioni di emergenza. Uno dei primi aspetti è il riuscire a comunicare nel modo corretto. Nel caso di Chernobyl, anche per via del regime dittatoriale comunista, la comunicazione fu tardiva, superficiale e assolutamente incompleta, ma non solo verso la popolazione anche all’interno della cerchia di chi avrebbe dovuto occuparsi di gestire quella situazione. Infatti, emerge chiaramente come i dati fossero del tutto incompleti perché mancava il modo per ottenerli, ovvero strumenti di misurazione efficaci delle radiazioni. Proprio partendo dalla crisi di Chernobyl il prof. Lombardi ha inaugurato un corso sulla Gestione del rischio e la crisis management e in una recente intervista ha messo in luce alcuni punti riguardo all’attuale situazione legata al corona virus e all’Italia. Per prima cosa si sofferma sull’evidente pessima gestione della comunicazione da parte del Governo italiano: “A distanza di tanti anni [da Chernobyl] è desolante vedere come si sia imparato poco, pochissimo, qualche volta niente. Comunicare in situazione di crisi significa avviare una comunicazione strategica, quindi orientata a un obiettivo, che sappia promuovere comportamenti adeguati nella popolazione per rispondere alla specifica situazione di difficoltà in cui si trova”. Lombardi mette in luce come la gestione sclerotica della comunicazione in Italia (prima tutto bene poi facciamo tamponi a tappeto e creiamo zone rosse, poi chiudiamo tutto o forse no come si è fatto la settimana scorsa con le scuole) abbia in realtà avuto, e avrà nel futuro, pesanti ripercussioni politiche ed economiche per il nostro Paese: “abbiamo offerto il destro ai nostri concorrenti di chiudersi attorno a noi, cioè tenerci fuori, come noi abbiamo fatto al nostro interno”. Il problema della crisi attuale, così come quella di Chernobyl è che “si tratta di una emergenza che non si vede, né si tocca, né puzza o si sente: esiste se si racconta”, e dunque il racconto che viene prodotto dal Governo, e a cascata dai media, deve essere funzionale alla gestione del pericolo immediato per fare in modo che la popolazione reagisca nel modo corretto evitando di entrare nel panico (svuotando i supermercati) e prendendo le giuste contromisure che pur impattando sul nostro stile di vita non sono certamente impossibili da rispettare.

Questo aspetto comunicativo e le conseguenze politiche ed economiche interne ed esterne è anche messo in evidenza dal prof. Capozzi il quale, in un articolo su L’Occidentale, dopo aver evidenziato i dati dell’epidemia che condannano l’Italia a una posizione di assoluto rilievo nella diffusione a livello mondiale ne trae poi alcune conseguenze. La società italiana, e il governo stesso da un certo punto di vista, ha mostrato “un atteggiamento troppo superficiale e leggero: in parte per la sua radicata propensione all’individualismo e familismo anarcoide, in parte perché incoraggiata fino a poco tempo fa da messaggi irresponsabili e controproducenti lanciati dal governo e da altre istituzioni”. Ciò ha prodotto “superficialità e irresponsabilità, […] mancanza di consapevolezza della disciplina, del sacrificio, delle rinunce che la presente emergenza sanitaria richiede”. Questi elementi a loro volta hanno impedito un’efficace e tempistica risposta al virus. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, se lo si vuole vedere, ovvero l’Italia è il paese che a livello internazionale viene additato “drammaticamente come esempio negativo al resto del mondo”. A livello politico-economico ciò ha e avrà pesantissime ripercussioni per la credibilità italiana sul piano della politica internazionale.

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