22 Novembre, 2024

Un ricordo del 4 maggio: Erno Egri Erbstein

Il 4 maggio 1949 moriva nell’incidente aereo sulla collina di Superga appena fuori Torino, una delle squadre più forti della storia del calcio italiano e non solo: il Torino o meglio il Grande Torino. Squadra che a cavallo della Seconda Guerra Mondiale vinse per cinque volte consecutive il campionato italiano (record eguagliato solo in anni molto recenti prima dall’Inter e poi dalla Juventus), che mantenne per tutto quel periodo di vittorie il campo di casa, il mitico stadio Filadelfia, inviolato, una squadra in grado di vincere 10-0 una partita contro l’Alessandria (record tutt’ora valido), una squadra che non solo rappresentava i colori granata nel mondo (compì tournée in tutto il mondo, Sud America compreso, per mostrare le sue abilità), ma che era per dieci undicesimi la squadra nazionale italiana (altro record mai uguagliato).

Indubbiamente la tragedia che colpì quella squadra, i famigliari, i tifosi e tutti gli appassionati di calcio contribuì ad accrescere il mito degli Invincibili, ma i numeri e i dati di quegli incredibili anni parlano chiaro e ci raccontano di un team di uomini in grado di triturare record su record, capaci di fare gruppo e di superare insieme le difficoltà e di vincere. Ma ogni gruppo vince se ha dei leader capaci, e chi furono i leader di quella squadra? Almeno tre nomi vanno ricordati. Il primo è colui che mise passione e soldi ovvero il presidente Ferruccio Novo (1897-1974) fu calciatore dal 1913 del Torino, ma non andò mai oltre la squadra riserve, ed era titolare di una fabbrica di accessori in cuoio per l’industria. La passione del calcio lo portò ad acquistare il Torino nel 1939 ponendo fin da subito le basi per gli Invincibili. Il secondo nome da ricordare come emblema di quella squadra è ovviamente il Captino, Valentino Mazzola (1919-1949), leader carismatico in campo e fuori basti ricordare il famoso gesto del rimboccarsi le maniche che dava la scossa a tutti i compagni, giocatore a tutto campo e dalla tecnica sopraffina.

Erno Egri Erbstein

Il personaggio che però qui voglio ricordare e su cui voglio soffermarmi maggiormente è il direttore tecnico della squadra Erno Egri Erbstein, ungherese con una lunga carriera da calciatore e allenatore alle spalle. Fu indubbiamente uno dei grandi innovatori del calcio, anche se la tragedia e il tempo passato ne hanno offuscato il ricordo. Per questo il libro di Dominic Bliss, Erno Egri Erbstein. Trionfo e tragedia dell’artefice del Grande Torino è una lettura assolutamente consigliata non solo ai tifosi del Toro, ma a tutti gli appassionati di questo sport che vogliono andare oltre al fantacalcio.

Il testo racconta la vita dell’uomo Erbstein sia come calciatore sia come allenatore e dunque non è un testo sul Grande Torino che compare solo nella seconda parte, anche se in realtà è un po’ lo sfondo di tutta la narrazione. Il lavoro di Bliss è ottimo perché ricostruisce le idee calcistiche e i risultati ottenuti da Erbstein attraverso interviste con la figlia Susanna Egri, alcune lettere originali, giornali dell’epoca, confronto con esperti e giornalisti. Così facendo Blissha scritto un’opera molto scorrevole, ma al contempo piena di particolari, approfondita e completa sia per ciò che riguarda il lato sportivo sia per quello umano. Il tutto inserito nel contesto storico dell’epoca in cui le origini ebraiche di Erbstein lo costrinsero a fuggire dall’Italia, poi anche dai tedeschi in Europa per poi tornare a Torino in modo molto fortunoso.

Erbstein nacque nel 1898 a Nagyvárad, allora parte dell’impero Austro-Ungarico, ma oggi in Romania, l’attuale Oradea, e la sua carriera da calciatore è decisamente positiva e gli permette di viaggiare per il continente giocando anche in Italia. È uno dei rappresentanti del calcio d’elitè dell’epoca in cui dominava la scuola danubiana. Era un centro mediano metodista, ruolo che prevedeva forza fisica ma anche intelligenza tattica nel giocare la palla. Era un uomo colto, non pensavo solo al calcio ma lo inseriva in un contesto più ampio e, infatti, si laurea in Educazione Fisica un aspetto questo che probabilmente sarà determinante per la sua carriera da allenatore visto che sarà lui a introdurre il riscaldamento nel calcio.

In Italia allenò varie squadre prima di essere scelto da Novo per guidare il Torino e forse dove riuscì a impressionare di più fu a Cagliari e a Lucca alla Lucchese, squadra che proprio con Erbstein in panchina visse il suo momento migliore. A Torino arrivò quando il presidente volle rifondare tutto per creare una squadra in grado di dominare il panorama nostrano.

Erbstein fu un innovatore del calcio per l’aspetto fisico (controllava anche l’alimentazione dei suoi giocatori) e tattico/tecnico. Sosteneva che non bastava avere undici campioni in campo per vincere, ma occorreva metterli nella condizione di rendere al massimo (p. 88), una verità che vediamo confermata non solo nel calcio moderno, ma in tutti i settori della vita. In alcune sue esperienze da allenatore impostò le sue squadre con quello che noi oggi definiamo “falso nueve”. Lui schierava le sue squadre con il cosiddetto sistema, ovvero il WM che nel calcio odierno sarebbe una sorta di 3-2-2-3, ma la sua nota di novità riguardava i due mediani esterni che dovevano difendere tenacemente, ma allo stesso tempo dovevano avere la velocità e la prontezza per far ripartire l’azione, ovvero per innescare le ripartenze come diremmo noi oggi. Fu un grande scopritore di talenti, infatti era lui a visionare i calciatori e a indicare quelli adatti al suo gioco e alle sue idee di calcio.

Il libro di Bliss è dunque un libro che parla di un uomo, più che di calcio. Un uomo che nel suo campo lavorativo non ha solo messo tutto se stesso, ma ha anche raggiunto obiettivi incredibili lasciando un impronta indelebile nei cuori granata, ma nel calcio tutto.

Come per i suoi campioni anche per lui vale il detto: “Solo il fato lo vinse”. In questo 4 maggio mi è sembrato doveroso dedicare un piccolo spazio nel mio blog, che parla di altro, a questa figura così importante.

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