Egidio Ivetic insegna Storia dell’Europa orientale all’Università di Padova ed è un esperto di Balcani e Adriatico, temi su cui ha scritto svariate opere. Da poco ha pubblicato un testo molto interessate, ovvero Il Mediterraneo e l’Italia. Dal mare nostrum alla centralità comprimaria, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2022. Si tratta di un testo a sfondo storico ma che non lesina spunti e riflessioni adatti alla situazione attuale. Tale impostazione emerge chiaramente sin dalle prime pagine dell’introduzione dove l’autore sottolinea come l’Italia “pur essendo inserita nel contesto mediterraneo […] non ha la testa nel Mediterraneo, non riesce a ragionare, come paese con scelte politiche e geopolitiche, in termini mediterranei” (p. 10). Le ragioni di questa mancanza di visione geopolitica possono essere molteplici, ma è indubbio che esista e che, malgrado la sua posizione geografica sia chiara, molti politici nostrani (e una certa tradizione politica) considerino lo stivale come un paese continentale. Di conseguenza il Mediterraneo anziché venir percepito come il giardino di casa e lo spazio dove muoversi politicamente, viene, invece, interpretato più come una periferia a cui per quanto possibile si cerca di non pensare.
Il problema della relazione tra Italia e Mediterraneo è però centrale anche perché quest’ultimo si trova in un momento storico di profondi cambiamenti geopolitici a cui il nostro Paese dovrà, volente o nolente, far fronte e adattarsi.
L’autore ragiona su questi problemi non da un punto di vista geopolitico o dell’attualità, bensì sulla relazione storica tra Italia e il Mediterraneo e fa emergere diversi aspetti interessanti. Il testo è diviso in 15 capitoli tematici in cui quella relazione può essere compresa.
Se il primo capitolo argomenta più in termini di storiografia del Mediterraneo e della necessità di uno sviluppo della disciplina in quel campo, il secondo si focalizza più sulla posizione dell’Italia che, da un lato, è centrale nel Mediterraneo, ma dall’altro manca di centralità. Il nostro Paese divide chiaramente il bacino mediterraneo in due, ma è anche uno dei tre sud europei: penisola iberica, che però è più concentrata sull’Atlantico, i Balcani che sono la cerniera con l’Asia e appunto l’Italia. Storicamente Genova e Venezia hanno giocato un ruolo importante nel Mediterraneo e indubbiamente avevano una visione geopolitica sia delle loro azioni sia del mare in sé, incredibilmente però quella visione non è mai stata integrata nell’Italia unita. Sul ruolo delle città italiane e le diverse sfere di influenza si concentrano alcuni dei capitoli centrali che mettono in luce proprio la visione geopolitica che si venne a sviluppare in quei secoli. In particolare, l’espansione di Venezia era centrata sul commercio e una serie di colonie che le permettevano di ampliare il suo raggio d’azione, ma anche sulla flotta in grado di controllare il mare e la sua fondamentale rete diplomatica.
Chiaramente a seguito della scoperta dell’America la centralità del Mediterraneo nei commerci progressivamente svanì, ma è con le guerre napoleoniche che l’Italia tocca forse uno dei punti più bassi nella storia del Mediterraneo, poiché sparirono gli stati marinai che nei secoli precedenti avevano svolto un ruolo centrale. Si intraprese un approccio passivo che lasciò campo libero ad altri attori. Tra questi ci fu indubbiamente l’Austria che ampliò la sua presenza nell’Adriatico. La battaglia di Lissa, 1866, potrebbe essere letta come un tentativo di riprendere il controllo del mare da parte italiana ed è da quella battaglia persa che l’autore fa nascere un nuovo navalismo in Italia, il cui principale testimone è la fondazione dell’Accademia Navale di Livorno nel 1881. In quegli anni però anche il Mediterraneo stava tornando centrale a causa dell’apertura del Canale di Suez che riportò gli interessi inglesi e francesi a concentrarsi fortemente nella regione, mentre l’Italia si focalizzò maggiormente sull’Adriatico. Tale prospettiva navale fu poi la chiave del cambio di alleanze durante la Prima Guerra Mondiale che sancì il predominio italiano in quell’area che però si concluse un paio di decenni dopo con la sconfitta della Seconda Guerra Mondiale.
Inoltre i nuovi equilibri politici derivanti da quel conflitto portarono alcune importanti conseguenze sul rapporto Italia e Mediterraneo. Primo, il fascismo aveva insistito sulla centralità del mare per cui per la nuova classe dirigente diventava primario dimenticare quell’aspetto (come se la geografia si potesse cambiare), secondariamente con l’alleanza con gli Stati Uniti era l’Atlantico a diventare centrale (Patto Atlantico e quindi NATO) e infine l’idea di Europa unita.
In questo quadro della Guerra Fredda erano più le iniziative di aziende italiane a mantenere un approccio mediterraneo: si pensi all’ENI di Mattei o alla FIAT che nel 1954 aprì una sua fabbrica in Jugoslavia. Sempre durante la Guerra Fredda, però, l’autore ricorda come l’abbattimento del DC9 su Ustica rivelò l’incapacità italiana di controllare il suo spazio aereo-navale, mentre pochi anni dopo il caso dell’Achille Lauro riaffermò la sovranità italiana seppur in modo parziale.
Gli ultimi capitoli del libro sono poi dedicati ai temi e agli anni più recenti. Si mette in luce, tra le altre cose, come l’allargamento significativo dell’UE nel Mediterraneo (inclusione di Malta, Cipro) sommato alla precedente presenza di stati membri (Spagna, Grecia e ovviamente Italia) rendesse il Mediterraneo molto più europeo che medio-orientale, a differenza della rappresentazione dei media, una situazione in cui l’Italia potrebbe svolgere un ruolo primario, ma di cui sembra non rendersi conto. Questo anche perché continua a predominare una prospettiva europeo-continentalista che non rispecchia né i nostri interessi né la posizione geografica che ricopriamo.
Il testo di Ivetic è dunque estremamente interessante da un punto di vista storico per ricostruire la traiettoria italiana nel Mediterraneo e i diversi approcci che si sono tentati e da un punto di vista politico per sottolineare un problema centrale della nostra politica estera.