È di pochi giorni fa la notizia che una rifugiata yazida, ovvero una ragazza facente parte di quella minoranza etnica in Iraq che dall’estate 2014 fu pesantemente colpita da ISIS, ha incrociato per strada i suoi vecchi carcerieri appartenenti allo Stato islamico. La ragazza, Ashwaq, aveva 14 anni quando i combattenti di ISIS attaccarono la regione irachena dove risiedeva con la famiglia, catturandola insieme ad altre migliaia di donne yazide che vennero poi vendute come schiave. Nel caso di Ashwaq, pare che lei venne venduta per circa 100 $ a un uomo di nome Abu Humam che la stuprò e picchiò diverse volte prima che lei riuscisse a scappare e a trovare rifugio in Germania con la madre e un fratello.
Nella primavera 2018 fuori da un supermercato, Ashwaq è stata avvicinata da un uomo che si è fatto riconoscere come Abu Humam e che le ha fatto capire di conoscerla personalmente e di sapere anche dove e con chi risiedava in Germania. Alla denuncia della ragazza la polizia tedesca non è stata in grado di identificare l’uomo, ma secondo alcuni attivisti tedeschi il caso non sarebbe isolato.
Questo fatto è in sé
piuttosto grave perché mette in luce il buco enorme nella sicurezza
europea legato ai flussi migratori che stanno colpendo l’Europa negli
ultimi anni. Purtroppo nascosti tra i migranti ci sono personaggi poco
raccomandabili legati a vario modo e titolo a gruppi estremisti. Gli
attacchi in Europa degli anni passati, in primis Parigi e Bruxelles,
avevano perfettamente messo in luce come molti di quegli attentatori
avessero sfruttato la facilità di penetrazione nel continente per
potersi muovere e agire. È vero che molti avevano un regolare passaporto
comunitario, ma è altresì vero che alcuni attentatori come, Ahmed
Almuhamed, erano invece entrati mischiandosi al flusso migratorio. Nel
caso specifico, ricostruito in un’analisi di Italianieuropei
una fondazione che non può certo essere tacciata di posizioni
estremiste, Ahmed Almuhamed era stato registrato come richiedente asilo
sull’isola greca di Leros, dopodiché aveva fatto domanda di asilo in
Serbia prima di recarsi in Croazia, in Austria e infine in Francia.
Anche uno studio
di ISPI dedicato al jihadismo in Europa se da un lato mette in luce
come la maggior parte degli attentatori appartenesse a una qualche
nazionalità europea, dall’altro sottolinea come quasi il 25% fosse
invece immigrata nel paese colpito e quasi la metà di quel 25% fosse
composta da rifugiati, richiedenti asilo o persone illegalmente presenti
nel paese colpito.
Un problema centrale che l’Italia e
tutti i Paesi europei devono analizzare con realismo e pragmatismo,
trovando le giuste contromisure.