Il 13 giugno del 1971 prima il New York Times e poi il Washington Post pubblicavano una serie di documenti segreti divenuti poi noti come Pentagon Papers. Si tratta di 7000 pagine stilate dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America per studiare i rapporti tra USA e il Vietnam tra il 1945 e il 1967. L’idea di raccogliere questi documenti fu dell’allora Segretario della difesa americano Robert McNamara. Il contenuto di quei documenti fu particolarmente scottante e problematico per due ragioni principali. Da un lato veniva messo in luce come il governo americano avesse esteso il proprio ruolo nel conflitto con bombardamenti e raid aerei nel Laos, in Cambogia e in Vietnam del Nord e aveva, inoltre, intrapreso azioni di guerra prima che i cittadini americani ne fossero informati. Dall’altro lato, mettevano in luce i reali obiettivi della guerra del Vietnam, ovvero evitare una sconfitta umiliante, mantenere il Vietnam del Sud e il territorio adiacente libero dal dominio comunista (cinese e sovietico), nascondere i vari crimini di guerra in modo da uscire dalla crisi senza alcuna inaccettabile macchia per i metodi utilizzati.
Ovviamente, all’epoca questi documenti fecero scalpore e influenzarono profondamente l’opinione pubblica non solo americana, ma sono interessanti perché a seguito di quella pubblicazione Hannah Arendt, filosofa della politica del XX secolo, scrisse un volume “La menzogna in politica. Riflessioni sui Pentagon Papers”, in cui analizza il complesso di menzogne propagandistiche fabbricate ad hoc dall’amministrazione degli Stati Uniti sin dall’inizio del suo coinvolgimento nel Sudest asiatico. Metteva in luce l’ostinata volontà di manipolare i dati che attestavano le reali dimensioni del disastro vietnamita allo scopo non di vincere una guerra ormai chiaramente persa, bensì di ottenere il consenso dell’opinione pubblica e salvare la faccia, conservando la propria immagine di superpotenza. Infatti, in quei documenti non era contenuto nessun reale segreto, quanto piuttosto la candida ammissione, da parte del governo, dell’inutilità di quel conflitto. Il vero scandalo quindi, secondo la Arendt, era che quella coltre di falsità fosse stata ideata e costruita a tavolino pezzo per pezzo, strato su strato, con la precisa intenzione di trascurare i fatti.
Il testo e la riflessione della Arendt sono chiaramente centrali anche nel contesto politico attuale per saper distinguere propaganda e informazione, realtà e finzione. Ma non è per questo motivo che ho deciso di rileggere quel testo. La vera ragione risiede in un recente podcast di The Strategy Bridge in cui il Dr. Celestino Perez, colonnello dell’esercito americano e docente presso il College dello stesso, affronta il tema e lo applica allo studio della guerra.
Secondo Perez, la Arendt lo scopo della Arendt è quello di mettere in luce sotto quali condizioni la Politica prende forma. In questo contesto, dunque, identifica tre diversi gruppi di politici:
– Gli ideologi che cercano parallelismi nella storia per sostenere il conflitto in Vietnam. In questo senso sono colore che sostengono che se Hitler fosse stato fermato prima non ci sarebbe stata la Seconda Guerra Mondiale e quindi oggi non si deve commettere lo stesso errore con il comunismo. Sono in buona sostaza i sostenitori della cosiddetta teoria del domino https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_domino
– I creatori di immagini che pensano che si possa vendere alle persone ideologie come al mercato si vende la frutta. Sono quindi quelli riconducibili a chi oggi si rifà al concetto di narrativa dominante, e quindi chi cerca di vendere una narrativa che per definizione non è reale, ma è appunto una costruzione artificiale di una realtà parallela.
– I risolutori di problemi professionali ovvero esperti in statistica, economia, analisi sistemica, teoria dei giochi e simili approcci. Ovvero coloro che si basano su freddi numeri e rigide statistiche per comprendere una realtà politica e conflittuale che invece è fluida, magmatica, stratificata ed estremamente complessa.
Queste riflessioni della Arendt ci devono insegnare diverse cose sulla Politica, ma soprattutto sulla Guerra. Per capire la Guerra, in quanto fenomeno, e le guerre, nel senso di singole manifestazioni storiche di quel fenomeno, è assolutamente fondamentale pensare molto di più sul mondo e sul contesto in cui si svolgono e avvengono. Troppo spesso, mette in luce il Dr. Perez, parlando di guerra si parla di tecnologia ma questo è semplice molto più complicato, ma anche molto più utile, è invece parlare delle dinamiche conflittuali. Un altro problema che si mette in luce è che troppo spesso si pianifica una guerra, e l’esempio iracheno da questo punto di vista è emblematico, come una sequenza di diverse fasi, ma poi la realtà è completamente diversa perché più complessa e fluida.
Il podcast e questo testo della Arendt devono inoltre farci riflettere meglio su come studiare la Guerra. Per comprendere il fenomeno Guerra, così come le sue manifestazioni storiche ovvero le singole guerre, è si fondamentale comprendere la storia militare, conoscere il dibattito strategico e tutte le dinamiche e problematiche che questi approcci mettono in luce, ma è altresì cruciale conoscere il pensiero politico e la riflessione politica per poter affrontare lo studio con gli strumenti mentali migliori possibili. Strumenti che servono per creare il contesto, uscire dalla contingenza, ampliare lo sguardo, non farsi ingannare dall’ideologia e dalla narrativa.