Kenneth Neal Waltz (1924-2013) è stato un politologo statunitense, uno dei più importanti e influenti studiosi delle relazioni internazionali, colui che dopo Hans Morghentau ha dato nuova linfa al dibattito teorico diventando il capofila della scuola del neorealismo o realismo strutturale grazie in particolare al suo saggio Teoria della politica internazionale. Indubbiamente questo è uno dei testi più importanti della disciplina delle Relazioni internazionali che ha influenzato intere generazioni di studenti non solo nel mondo anglosassone. In estrema sintesi (qui un breve video che spiega bene la sua teoria) quel lavoro vuole affrontare il tema del cambiamento della politica internazionale e Waltz mira a sviluppare un metodo scientifico per comprendere tale cambiamento. La conclusione a cui giunge è quella che è necessario adottare una prospettiva che individui le cause profonde dei comportamenti dei singoli attori prescindendo dalle caratteristiche individuali degli stessi. È dunque necessario focalizzarsi sul sistema internazionale teorizzandone la natura per individuare le cause esterne agli attori che poi influenzano i loro comportamenti. È la struttura del sistema internazionale a determinare in modo piuttosto rigido il comportamento degli attori indipendentemente dalla loro natura.
Non ho mai amato particolarmente Waltz e questo approccio scientifico allo studio della politica. Però per ragioni di ricerca, e in particolare per approfondire lo studio della natura della guerra e di come poterla in qualche modo schematizzare, ho ripreso in mano un altro testo di Waltz, che risale all’inizio della sua carriera accademica e che trovo molto più interessante e utile, ovvero L’Uomo, lo Stato e la Guerra. Ed è di questo che vorrei parlarvi qui.
L’Uomo, lo Stato e la Guerra
L’Uomo, lo Stato e la Guerra viene pubblicato nel 1959. In quegli anni nel mondo accademico americano lo sforzo maggiore mirava a creare su basi scientifiche la disciplina della scienza politica e Waltz si oppone a tale approccio riscoprendo l’importanza della teoria politica e del pensiero politico. Il volume ha come oggetto di ricerca le cause della guerra, ovvero una delle domande di ricerca più importanti per chi si occupa di politica internazionale, e non solo. Il testo cerca di offrire una risposta esaustiva affrontando il pensiero di alcuni grandi autori del passato, ma ciò che lo rende originale è il come organizza quelle idee, ovvero lo schema basato sulle tre immagini che ricorrono nel titolo: la natura dell’uomo, l’elemento interno dello Stato, il sistema internazionale (che poi, come detto, diventerà il tema centrale della sua riflessione successiva). Quest’ultimo è basato su due componenti principali: il principio con il quale gli stati vengono ordinati, ovvero l’anarchia internazionale, e la relativa distribuzione di potere (sistema bi o multi-polare). Ne consegue che il testo è diviso in tre parti principali dedicate appunto ognuna a un’immagine che viene analizzata nello specifico.
La prima immagine individua le cause delle guerre nella natura umana, le guerre sarebbero il risultato di egoismo, impulsi aggressivi e stupidità. Qui Waltz prende in considerazione, per esempio, la riflessione di Hans Morgenthau secondo cui, in un’ottica strettamente fondata sul classico realismo politico, il mondo è dotato di beni scarsi, e ciò innesca la lotta fra gli uomini che tentano di accaparrarseli. La lotta per il potere nasce proprio da questa dinamica e ovviamente del desiderio di potere che permette poi di ottenere i beni. Waltz identifica due idee principali legate al potere:
- le situazioni competitive generano lotta, il potere dunque è un mezzo per salvaguardare i propri fini;
- il potere però è anche fine perché gli uomini lo cercano e da tale ricerca nascono le lotte.
La seconda immagine si riferisce allo Stato e mostra come Waltz, in fin dei conti, non consideri la prima immagine sufficiente a spiegare il conflitto. Il motivo è semplice: la natura umana è la stessa sia che combatta una guerra sia che fondi associazioni filantropiche. Serve quindi cercare altrove la ragione del conflitto. Waltz prende in considerazione Bodin che sostiene che per evitare la guerra civile, ovvero quella interna allo stato che porta alla sua disgregazione e a quella della società, è necessario compattare i membri di quest’ultima e il modo migliore è individuare un nemico esterno. In questa sezione Waltz prende maggiormente in esame il pensiero liberale in cui l’idea che la guerra sia causata da comportamenti “sbagliati” dei singoli stati è molto forte e presente. Nasce infatti da questa impostazione l’idea che la democrazia sarebbe intrinsecamente più pacifica di altre forme di governo.
In questo contesto Waltz identifica due diverse scuole di pensiero che portano a conseguenze molto diverse e che ci riguardano ancora da vicino.
Da un lato abbiamo l’idea del non-interventismo che può essere fatta risalire a Kant secondo cui una democrazia non parteciperebbe a una guerra se i suoi cittadini potessero decidere, perché, conoscendone le conseguenze e chi le pagherebbe, ovvero loro, non sarebbero disposti a quel genere di sacrificio. Tale impostazione comporta una definizione molto ristretta di sicurezza dello stato perché interpreta il pericolo per lo Stato (ovvero l’unico modo per cui la guerra sarebbe giustificata) solo ed esclusivamente in modo diretto, cioè una minaccia ben visibile e presente al confine dello Stato. Così facendo però si incorre in due rischi mortali: primo, la minaccia è già concreta, presente e imminente il che rende l’eventuale risposta molto più difficile e probabilmente tardiva; secondo, si lascia all’avversario non solo libertà strategica nel preparare l’eventuale attacco, condannandosi alla sola difesa passiva, ma gli si concede anche di potersi muovere politicamente in modo libero per tutto il tempo che desidera prima dell’eventuale attacco.
Dall’altro lato emerge l’idea dell’interventismo messianico che può essere ricondotto a personaggi come il presidente Wilson o Mazzini. In questo caso si pensa che la pace possa essere una buona ragione per la guerra, perché uno stato “di bruti” (chi stabilisce poi chi siano i bruti non si sa, o meglio si sa ma così facendo il tutto diventa una dittatura) mette in pericolo tutti gli altri e quindi gli stati pacifici devono ripulire il mondo. La guerra diventa uno strumento di sicurezza per creare le condizioni di pace per tutti. Le conseguenze di questo tipo di ragionamento le abbiamo sotto gli occhi tutti: le campagne in Afghanistan e Iraq dell’amministrazione Bush, le innumerevoli campagne con droni e non solo del presidente Obama (Libia coinvolgimento in Siria ecc). La stessa idea del Responsability to Protect (R2P) è in fin dei conti una filiazione di questo modo distorto di ragionare. Come evidenzia bene Waltz si tratta di una crociata, ma il problema è che nel mondo esiste più di un messia e più di una missione e quindi chi stabilisce la bontà della causa? Ovviamente gli stessi che scatenano la guerra, il che chiaramente crea un cortocircuito. La grande debolezza del pensiero liberale su questo punto è che non comprende come anche all’interno dello stato i cittadini seguano le leggi perché sono forzati a farlo dall’esistenza di una sanzione con relativi tribunali che possono punire e reprimere. L’assenza di tale meccanismo a livello internazionale fa crollare il parallelismo, tanto caro ai liberali, tra democrazia interna e tra gli stati.
Questa riflessione di Waltz, ovvero che senza un sistema di diritto superiore agli stati e sostenuto dalla forza (questo elemento è essenziale, ma è anche quello che ci fa capire come se mai fosse istituito si tratterebbe, come sottolineò già Carl Schmitt, di una dittatura) la guerra esisterà sempre, ci porta a riflettere sulla terza immagine. Gli stati, senza quel sistema di diritto, vivono in una condizione di anarchia intrinsecamente pericolosa e competitiva per sé. Tutti gli stati devono ricorrere alla forza per raggiungere i propri obiettivi e devono quindi essere pronti a contrapporre la forza alla forza o a pagare il prezzo della loro debolezza (p. 150). In questo contesto Waltz utilizza Rousseau come autore di riferimento e in particolare il suo racconto del cervo: una squadra di cacciatori si organizza in modo tale che alcuni si inoltrino nella foresta facendo rumore per spingere la preda verso gli arcieri che attendono l’animale presso tutti i varchi di fuga pronti a colpirlo. Rousseau immagina però che uno degli arcieri si allontani dalla sua postazione per inseguire un coniglio. Riuscirà a prendere il coniglio e procurare il cibo per sè stesso, ma il cervo fuggirà dal varco lasciato incustodito, privando l’intera comunità della preda che avrebbe sfamato tutti. Questo esempio serve a Waltz per sottolineare come l’interesse immediato prevalga sulla comunità e dunque come nell’azione cooperativa, come dovrebbe essere quella tra stati indipendenti a livello internazionale, non ci si possa mai fidare realmente e totalmente degli altri.
Infatti, secondo Rousseau il conflitto non nasce dalla natura umana bensì dalla natura dell’attività sociale. Lo stato ha quindi due scopi: mantenere la coesione interna e rafforzare la sicurezza all’esterno. Tutto il resto o è utile per raggiungere uno dei precedenti o è un pretesto per raggiungerlo. Dunque, nel contesto internazionale, dove la competizione è senza regole per Rousseau diventa anche inutile parlare di stati “buoni”, ovvero democratici, poiché l’eventuale volontà buona di uno sarebbe solo una volontà particolare in relazione con un mondo invece completamente diverso.
Da queste riflessioni nasce per Waltz la centralità della struttura politica, ovvero del sistema internazionale, per capire il mutamento, il comportamento degli attori e in ultima analisi lo scoppio delle guerre. Ciò però non significa sostenere che gli atti dei singoli stati non siano rilevanti, anzi essi sono le cause immediate del singolo conflitto che dunque scoppia perché il fragile equilibrio anarchico del sistema viene scosso da una scintilla locale e contingente.
Quasi in conclusione del suo lavoro, Waltz riporta poi un passaggio di Clausewitz che merita di essere citato per intero: “Il fatto che una strage sanguinosa [sia] uno spettacolo orribile dovrebbe solo fornirci una ragione per trattare la guerra con più rispetto, non per rendere la spada che portiamo sempre più spuntata per dei sentimenti d’umanità, finché ancora una volta arriverà qualcuno con una spada affilata e ci staccherà le braccia dal corpo”. Ovvero, l’eccessiva passività di uno stato rischia di provocare la guerra di aggressione da parte di un altro stato, un rischio che con una politica più attiva avrebbe invece eliminato.
Il testo è dunque sicuramente interessante per due ragioni. Primo, analizza la Guerra nella sua relazione con la politica internazionale attraverso lo schema dei tre livelli di analisi offrendo uno sguardo acuto e approfondito. Secondo, è un esempio di studio delle relazioni internazionali lontano dai moderni stereotipi pieni di dati, statistiche e quant’altro, che però coglie la natura della disciplina, ovvero la Politica e il rischio sempre presente di Guerra.