22 Novembre, 2024

Rileggere i Classici: Machiavelli e l’Arte della guerra

Niccolò Machiavelli (Firenze, 3 maggio 1469 – 21 giugno 1527) è stato uno storico, filosofo, scrittore, politico e drammaturgo nonché secondo cancelliere della Repubblica Fiorentina dal 1498 al 1512. È indubbiamente il pensatore politico più famoso al mondo, in un certo senso l’iniziatore della riflessione politica moderna e Il Principe è un testo che non ha bisogno di presentazioni o approfondimenti (questo video di qualche anno fa è un utilissimo strumento per capire meglio il pensiero di Machiavelli).

Infatti, qui voglio approfondire un’opera di cui Machiavelli andava molto più fiero, anche perché venne pubblicata dal suo autore mentre Il Principe comparve postumo nel 1532 (ma fu scritto nel 1513), ma che oggi viene spesso ignorata o comunque poco presa in considerazione, ovvero l’Arte della guerra (1521). Ne Il Principe Machiavelli si preoccupava dei diversi tipi di Principato e di repubblica e di come conquistarli e mantenerli saldi politicamente. In questo quadro un elemento che emerge chiaramente è la connessione tra “le buone arme” e una sana politica, ovvero per usare un linguaggio clausewitziano, il legame tra guerra e politica. Tuttavia la riflessione sulla guerra non è centrale ne Il Principe, mentre è l’elemento fondante dell’Arte della guerra.

In realtà, ne Il Principe Machiavelli, a differenza di un altro gigante della riflessione politica come Hobbes, invita ad armare il popolo attraverso la creazione di milizie poste sotto il comando del principe con il fine di slegare le fortune di un’entità politica dalle bizze dei mercenari e offrire quindi al governante gli strumenti per la sua forza e indipendenza rispetto a soggetti esterni. Questo è un elemento centrale dell’Arte della guerra in cui l’autore invita a riscoprire i modi antichi di condurre la guerra, ovvero a studiare i romani, il cui esercito era formato non da mercenari, bensì dal popolo armato, da milizie proprie addestrate e inserite in un quadro di disciplina in grado di creare la giusta virtù.

L’Arte della guerra è scritta in forma di dialogo con lo scopo, dichiarato in principio da Fabrizio Colonna, “di onorare e premiare le virtù, non dispregiare la povertà, stimare i modi e gli ordini della disciplina militare, costringere i cittadini ad amare l’uno l’altro, a vivere sanza sètte, a stimare meno il privato che il pubblico”. L’opera è divisa in sette libri preceduti da un proemio e composti da una serie di dialoghi tra Cosimo Rucellai, un amico di Machiavelli, e Fabrizio Colonna, alter ego dello stesso Machiavelli, con altri patrizi e membri della Repubblica fiorentina. Fabrizio è affascinato dalle legioni romane dell’inizio della Repubblica e sostiene fortemente la possibilità di adattare quello stesso sistema alla Firenze rinascimentale. In questo senso il testo è una sorta di monologo di Fabrizio Colonna il quale mette in mostra la sua conoscenza e saggezza militare e indica come un esercito dovrebbe essere formato, addestrato e organizzato. Gli altri personaggi fanno da semplici contraltari.

Fin dall’inizio appare chiaro il legame tra guerra e politica, o meglio tra esercito e decisore politico: “tutte l’arti che si ordinano in una civiltà per cagione del bene comune degli uomini, tutti gli ordini fatti in quella per vivere […] sarebbono vani, se non fussono preparate le difese loro; le quali, bene ordinate mantengono quegli […] i buoni ordini, sanza il militare aiuto, non altrimenti si disordinano” (p. 4). Per Machiavelli il successo in guerra dipende dai soldati (una riflessione che oggi andrebbe affrontata in modo approfondito visto il crescente impatto della tecnologia e il conseguente sviluppo di approcci puramente tecnologici alla guerra in cui la dimensione umana viene accantonata), ma i soldati devono essere cittadini, devono combattere e lottare per la loro patria e dunque nella visione di Machiavelli c’è una stretta correlazione tra istituzioni militari e politiche.

Nell’interpretazione di Machiavelli la guerra è lo scontro con il nemico sul campo di battaglia, una visione certamente tradizionale, ma che sottolinea la natura violenta del fenomeno, ovvero è possibile trovare strade alternative, dalla diplomazia all’inganno, per risolvere i conflitti, ma se questo alla fine scoppia ecco che lo scontro sul campo di battaglia diventa l’elemento centrale e ineliminabile e serve essere pronti ad affrontarlo. Da questo punto di vista lo scopo della guerra è quello di sottomettere il nemico al proprio volere. Altro elemento connaturato alla guerra è che in essa il rischio, le incertezze e i pericoli, ciò che poi Clausewitz etichetterà come attriti, sono ineliminabili e dunque vanno sempre presi in considerazione coscienti che su di essi si può far poco se non essere flessibili e pronti nelle proprie decisioni.

In questo contesto emerge anche un altro elemento centrale della riflessione machiavelliana che egli riprende dall’esperienza romana, ovvero la centralità dell’addestramento e della disciplina. Non dimentichiamo che Machiavelli visse in un periodo storico in cui le milizie mercenarie la facevano da padrona ed esse non erano certamente l’emblema delle forze unite, solide e compatte dell’antica Roma. Addestramento e disciplina inoltre servono per affrontare un terribile aspetto della guerra, la battaglia dove la brutalità e la confusione regnano sovrane e ciò potrebbe spingere il soldato a bloccarsi o scappare pensando esclusivamente alla propria salvezza. Addestramento e disciplina, unite al comando, servono proprio per evitare che il soldato si faccia prendere dal panico, agisca come individuo facendo perdere di coesione e forza di impatto l’intero esercito. Al contrario addestramento e disciplina creano un esercito forte, pronto, preparato e reattivo.

Machiavelli, a differenza di altri teorici della guerra, non offre soluzioni preconfezionate a problemi strategici, ma è perfettamente conscio della mutevolezza storica delle singole congiunture. Ne consegue che non può esistere una strategia corretta o perfetta, ma la strategia giusta è figlia delle particolari circostanze di quella specifica guerra. Questo richiamo alla Storia e a interpretare le situazioni è un elemento tipico anche de Il Principe.

In guerra serve coraggio, obbedienza, entusiasmo e ferocia. Una guerra dovrebbe finire il più rapidamente possibile e con un risultato definitivo, ovvero la sconfitta del nemico, ne consegue che, da un lato, bisogna impiegare tutte le forze disponibili, dall’altro la battaglia decisiva gioca un ruolo centrale nella teoria di Machiavelli.

Il testo ha diversi limiti come per esempio la sottovalutazione dell’artiglieria e in generale Machiavelli non fu in grado di cogliere pienamente l’impatto delle armi da fuoco sull’evoluzione dei conflitti. Inoltre ciò porterà a un aumento dei costi delle guerre che è un altro aspetto che Machiavelli non prende in considerazione (anche se in realtà alcuni riferimenti ai costi della guerra sono presenti). Tutto considerato questi sono aspetti secondari nella riflessione di Machiavelli che non mirava tanto a scrivere un manuale tattico, quanto piuttosto un testo che mettesse in luce, da un lato, il legame tra il buon governo e un esercito proprio, armato e ben addestrato, dall’altro la necessità di organizzare le istituzioni politiche affinché potessero creare le condizioni favorevoli a quel tipo di organizzazione militare disciplinata e virtuosa.

Interessante però è anche come il testo si avvia alla conclusione, poiché nel Libro Settimo Fabrizio Colonna stila una serie di “principi” utili per la comprensione della guerra e per condurla nel migliore dei modi. Machiavelli nello stilare questa parte dell’opera attinge a piene mani da Vegezio nel cui testo possiamo trovare praticamente gli stessi suggerimenti. Li riporto qui per intero perché credo sia una lettura utile e interessante tanto che qualche tempo fa un sito importante a diffusione globale, ovvero War on the Rocks, dedicò un articolo proprio a questi concetti. Qui emergono chiaramente alcune idee basilari di Machiavelli: la necessità dell’addestramento e della disciplina; la consapevolezza del gioco e del caso in guerra e dunque la necessità di prepararsi accuratamente alla battaglia; il ruolo delle informazioni sul nemico e la necessità di mantenere il segreto sulle proprie; la centralità della logistica e dei costi della guerra con affermazioni che potrebbero ricordare anche Sun Tzu.

“Né mi pare che ci resti altro a dirvi che alcune regole generali, le quali voi averete familiarissime; che sono queste:

Quello che giova al nimico nuoce a te, e quel che giova a te nuoce al nimico.

Colui che sarà nella guerra più vigilante a osservare i disegni del nimico e più durerà fatica ad esercitare il suo esercito, in minori pericoli incorrerà e più potrà sperare della vittoria.

Non condurre mai a giornata i tuoi soldati, se prima non hai confermato l’animo loro e conosciutogli sanza paura e ordinati, né mai ne farai pruova, se non quando vedi ch’egli sperano di vincere.

Meglio è vincere il nimico con la fame che col ferro, nella vittoria del quale può molto più la fortuna che la virtù.

Niuno partito è migliore che quello che sta nascoso al nimico infino che tu lo abbia eseguito.

Sapere nella guerra conoscere l’occasione e pigliarla, giova più che niuna altra cosa.

La natura genera pochi uomini gagliardi; la industria e lo esercizio ne faassai.

Può la disciplina nella guerra più che ilfurore.

Quando si partono alcuni dalla parte nimica per venire a’ servizi tuoi, quando sieno fedeli vi sarà sempre grandi acquisti; perché le forze degli avversari più si minuiscono con la perdita di quegli che si fuggono, che di quegli che sono ammazzati, ancora che il nome de’ fuggitivi sia a’ nuovi amici sospetto, a’ vecchi odioso.

Meglio è, nell’ordinare la giornata, riserbare dietro alla prima fronte assai aiuti, che, per fare la fronte maggiore, disperdere i suoi soldati.

Difficilmente è vinto colui che sa conoscere le forze sue e quelle del nimico.

Più vale la virtù de’ soldati che la moltitudine; più giova alcuna volta il sito che la virtù.

Le cose nuove e subite sbigottiscono gli eserciti; le cose consuete e lente sono poco stimate da quegli; però farai al tuo esercito praticare e conoscere con piccole zuffe un nimico nuovo, prima che tu venga alla giornata con quello.

Colui che seguita con disordine il nimico poi ch’egli è rotto, non vuole fare altro che diventare, di vittorioso, perdente.

Quello che non prepara le vettovaglie necessarie al vivere è vinto sanza ferro.

Chi confida più ne’ cavagli che ne’ fanti, o più ne’ fanti che ne’ cavagli, si accomodi col sito.

Quando tu vuoi vedere se, il giorno, alcuna spia è venuta in campo, fa’ che ciascuno ne vadia al suo alloggiamento.

Muta partito, quando ti accorgi che il nimico l’abbia previsto.

Consigliati, delle cose che tu dèi fare, con molti; quello che di poi vuoi fare conferisci con pochi.

I soldati, quando dimorano alle stanze, si mantengano col timore e con la pena; poi, quando si conducono alla guerra, con la speranza e col premio.

I buoni capitani non vengono mai a giornata se la necessità non gli strigne o la occasione non gli chiama.

Fa’ che i tuoi nimici non sappiano come tu voglia ordinare l’esercito alla zuffa: e in qualunque modo l’ordini, fa’ che le prime squadre possano essere ricevute dalle seconde e dalle terze.

Nella zuffa non adoperare mai una battaglia ad un’altra cosa che a quella per che tu l’avevi deputata, se tu non vuoi fare disordine.

Agli accidenti subiti con difficultà si rimedia, a’ pensati con facilità.

Gli uomini, il ferro, i danari e il pane sono il nervo della guerra; ma di questi quattro sono più necessarii i primi due, perché gli uomini e il ferro truovano i danari e il pane, ma il pane e i danari non truovano gli uomini e il ferro.

Il disarmato ricco è premio del soldato povero.

Avvezza i tuoi soldati a spregiare il vivere delicato e il vestire lussurioso.

Questo è quanto mi occorre generalmente ricordarvi”. (N. Machiavelli, Dell’arte della guerra, Einaudi, Torino, pp. 177-179).

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