L’area del Nord Africa con i suoi legami stretti e profondi con il Sahel rappresenta oggi uno degli scenari più instabili a livello globale e allo stesso tempo centrali per il nostro Paese sia in termini economici, per i nostri interessi energetici in Libia, sia di sicurezza legati a diversi fenomeni come lo sviluppo del terrorismo jihadista, stabilità regionale vista la crisi perdurante e il crescente coinvolgimento di attori esterni, il problema dell’immigrazione illegale. Proprio per affrontare questi temi così importanti e attuali la Fondazione ICSA di Roma, con cui ormai collaboro da diverso tempo in modo proficuo, ha realizzato, in questa fase di emergenza globale legata al Covid-19, un’analisi a cura di Carlo De Stefano ed Elettra Santori circa l’evoluzione del terrorismo jihadista nel Nord Africa e nel Sahel. Lo studio, che potete scaricare gratuitamente qui, prende in esame vari Paesi africani in cui il terrorismo jihadista rappresenta una sfida per varie ragioni e in cui la stabilità interna e regionale è messa a rischio da diversi fattori.
Io mi sono occupato di Libia dove, malgrado la disfatta subita a Sirte alla fine del 2016, lo Stato Islamico è tutt’ora presente e rappresenta indubbiamente la milizia più numerosa, benché non la sola. La violenza nel Nord Africa, collegata all’estremismo islamico, nel corso del 2019, non è aumentata in modo significativo rispetto all’anno precedente (347 attacchi nel 2019 rispetto ai 345 del 2018). L’incremento maggiore (più di 700 attacchi) si è registrato nella regione del Sahel, proprio nell’area da cui passano i traffici illegali che attraversano la Libia per poi arrivare sulle coste del Mediterraneo.
La questione principale in Libia resta però la mancanza di un governo in grado di controllare il territorio. Il conflitto tra il governo riconosciuto internazionalmente di Tripoli (Government of National Accord, GNA), guidato da Fayez al-Sarrāj, e quello della Cirenaica del generale Khalifa Haftar (Libyan National Army, LNA) è sempre stato influenzato dall’intervento di paesi esterni, un elemento che si è rafforzato da quando la Turchia è scesa in campo nei mesi scorsi. Ormai è evidente come Russia e Turchia siano tra gli attori più importanti a livello sia politico sia militare. La situazione è rapidamente mutata nelle ultime settimane e resta molto preoccupante.
L’amico Giuseppe Dentice si è invece occupato di Egitto che è un altro attore con forti interessi in Libia che è importante sia per le relazioni commerciali, energetiche, di collaborazione in funzione antiterroristica, sia per la sua posizione nel quadrante mediterraneo- africano. I capitoli su Tunisia e Algeria invece sono a firma di Elettra Santori che mette in luce i legami tra questi Paesi e la Libia e poi con il Sahel in termini di traffici illegali che quindi rappresentano uno dei pericoli maggiori per la sicurezza regionale oltre che uno degli strumenti maggiori per il finanziamento del terrorismo jihadista.
È dunque evidente la centralità della regione del Sahel che viene quindi affrontata in un capitolo a parte da Andrea Sperini. La Somalia, apparentemente fuori regione ma centrale per il jihadismo africano e anche per le recenti questioni legate alla liberazione della cooperante italiana Silvia Romano, è invece approfondito dal Prefetto Carlo De Stefano. Mentre uno sguardo più complessivo sul tema dell’“islam nero”, ovvero la diffusione dell’islamismo in Africa viene offerto dal Procuratore Giancarlo Capaldo.
Risulta altresì molto interessante il capitolo a firma di Giampaolo Ganzer che, anche grazie al suo background militare essendo stato, tra gli altri incarichi, comandante del ROS dei Carabinieri dal 2002 al 2012, offre uno sguardo approfondito sulle missioni italiane all’estero. Si mette in luce l’esistenza di un modello italiano creatosi negli anni “che vede l’affiancamento di contingenti dell’Arma dei Carabinieri (generalmente le Unità Specializzate Multinazionali-MSU) alle grandi unità dell’Esercito, nonché l’intervento, sulla base delle concrete esigenze, delle altre Forze Armate e di Polizia”. Il comandante Ganzer ricorda inoltre che queste missioni svolgono una fondamentale “funzione di prevenzione avanzata del terrorismo jihadista, consentendo di sviluppare un’efficace azione di intelligence nei luoghi di origine del fenomeno” e dunque sono un aspetto centrale per la difesa del Paese. Per quanto riguarda il quadrante africano però va detto che le missioni appaiono eccessivamente parcellizzate. “Nel continente africano sono infatti in atto ben 18 missioni, ma è impiegato un numero relativamente esiguo di unità (20% del totale)”, a livello complessivo, invece, nel 2019 sono state 7400 le unità impiegate in 43 diverse missioni a livello globale.
La ricerca “Il Jihadismo in Africa ai tempi del Covid-19” pubblicata dalla Fondazione ICSA è dunque un utile strumento per approfondire l’instabilità del Nord Africa, i suoi legami con altre regioni del continente e dunque i rischi che tutto ciò comporta per il nostro Paese.