In uno dei suoi numerosissimi testi, Fighting Talk, Colin Gray, uno dei massimi studiosi di strategia e studi strategici degli ultimi decenni, purtroppo recentemente scomparso (ne avevo già parlato qui), scrisse: “There are no new ideas in strategy. Instead, there is a stock of concepts of great antiquity, whose exact provenance is unknown and unknowable […] Because strategic theory is so practical an enterprise, its ideas always need to be applied with the most careful attention to the details of the historical context. But, those ideas are as unchanging as their manifestation in practice can assume an exceedingly wide variety of forms.” (p. 58) Siccome le idee strategiche sono così antiche e sostanzialmente immutate, poco dopo Gray sosteneva, con un certo grado di ragione, che “Despite great differences in style, Thucydides’ Peloponnesian War, Sun-tzu’s Art of War, and Clausewitz’s On War comprise the essential trilogy for understanding strategy”. (p. 58)
Di questo trittico strategico quello su cui forse ci sono meno studi è Sun Tzu, anche se indubbiamente è un autore estremamente citato e noto anche a chi non si occupa di guerra o pensiero strategico.
Di Sun Tzu si sa poco o nulla, vive in Cina probabilmente tra il V e il IV secolo a.C., indubbiamente è un uomo di cultura e un generale esperto nell’arte della guerra. L’arte della guerra (tutte le citazioni sono tratte dall’edizione BUR 2008) è certamente interessante e mette in luce vari aspetti centrali della strategia e del fenomeno bellico in generale. Si articola in tredici diversi capitoli che affrontano vari temi dal combattimento, al movimento fino al ruolo delle informazioni e delle spie.
L’opera di Sun Tzu fu tradotta per la prima volta in Europa a fine XVIII secolo, ma solo più tardi venne ampiamente diffusa e conosciuta. Da quel momento Sun Tzu viene spesso interpretato come l’esponente di spicco di una filosofia strategica contrapposta a quella rappresentata da Clausewitz. Dove il prussiano sposerebbe l’idea che la guerra sia sinonimo di battaglia decisiva, il cinese, invece, invita a vincere senza combattere e diventa quindi l’esponente di un approccio indiretto al conflitto, più vicino ai moderni concetti di guerra irregolare o asimmetrica. Tale contrapposizione è vera solo a uno sguardo superficiale perché in realtà i due, pur con tutta una serie di diversità, condividono una visione similare della strategia e della guerra.
Indubbiamente nella teoria di Sun Tzu gioca un ruolo centrale il concetto di sorpresa perché ritiene che lo stratagemma sia fondamentale. Il cinese però è cosciente che la guerra è un’interazione tra parti che si contrappongono, di conseguenza i piani strategici si intrecciano e mutano al mutare delle situazioni, per questo motivo ritiene che si possa ottenere sorpresa solo conoscendo sia la forza e composizione del nemico sia il suo piano d’azione, ma evitando anche che egli possa conoscere noi e la nostra strategia. Dunque, segretezza e simulazione appaiono come nozioni cardinali in guerra per ottenere la sorpresa. Questi sono tutti elementi centrali della strategia perché Sun Tzu inaugura qui un filone di riflessione strategica tutt’ora valido: “la strategia è la via del paradosso. Così, chi è abile, si mostri maldestro; chi è utile, si mostri inutile […] Adescate il nemico con la prospettiva di un vantaggio, e conquistatelo con la confusione […] Se è collerico, mostratevi cedevoli, se è umile, arroganti. Se è pigro, affaticatelo; se è compatto, disperdetelo. Attaccatelo quando è impreparato, e apparite all’improvviso” (p. 37); “mostratevi come una donnetta, cosicché il nemico vi apra la porta; in seguito vigili e all’erta, cosicché non riesca a opporvi resistenza” (p. 107).
Un aspetto della riflessione di Sun Tzu che lo avvicina molto al tema della guerriglia è indubbiamente la sua insistenza sul ruolo della sorpresa, ma un passaggio del capitolo 6 è emblematico e anticipa la descrizione della guerriglia di molti autori più recenti: “Se il nemico si preparerà a combattere in tantissimi luoghi, noi potremo impegnare pochi uomini sull’effettivo campo di battaglia. Così, quando il nemico si preparerà a combattere al fronte, le sue retrovie risulteranno sguarnite. Quando si preparerà a combattere nelle retrovie, il suo fronte risulterà sguarnito […] Quando si preparerà a combattere ovunque, in realtà le sue truppe risulteranno sguarnite dappertutto” (pp. 66-67).
Un elemento importante nel pensiero di Sun Tzu è capire e valutare la situazione in cui ci si trova a operare. Per valutare correttamente la situazione servono informazioni e le migliori derivano dalle spie o dai traditori. Una volta però valutata correttamente la situazione serve adattarsi a essa e qui Sun Tzu insiste su un punto importante, ovvero essere “senza forma”, essere come l’acqua. Ovvero. invita il comandante a non fissarsi su idee preconcette, ma ad adattarsi alla situazione che ha di fronte in modo da affrontarla nel modo migliore possibile. In questo senso sicuramente il cinese non amava troppo le manovre ordinate simili a quelle degli eserciti europei dell’età moderna e successive, ma va anche detto che il periodo in cui visse vedeva eserciti di piccole dimensioni per cui più facili da adattare al campo di battaglia. “La configurazione tattica eccellente, dal punto di vista strategico, consiste nell’essere privi di configurazione tattica, ossia nella condizione ‘senza forma’ […] L’acqua è una metafora della configurazione tattica strategica. […] l’acqua fluisce sistematicamente, conformandosi alle pieghe del terreno; la strategia persegue sistematicamente la vittoria, conformandosi ai movimenti del nemico” (p. 68). Verso la fine del testo torna su questi aspetti: “manipolare la strategia e valutare nuovi piani, sino al punto di divenire imperscrutabili” (p. 101). “Gli esperti nell’arte del combattere inducono gli altri a fare la prima mossa, e non vengono indotti a farla […] Mostratevi nei luoghi che esso [il nemico] non può affrettarsi a raggiungere, e affrettatevi a raggiungere quelli imprevedibili” (p. 65).
Nel testo non compare una definizione di guerra, ma in più passaggi appare evidente come Sun Tzu interpreti il conflitto non come un evento puramente militare slegato dalla vita sociale e politica, ma anzi sia un tassello di un quadro più ampio. La politica è un elemento determinante per la vittoria finale che quindi non è un aspetto puramente militare, ma un qualcosa di più complesso e articolato legato a più dimensioni intrecciate fra loro. La guerra, dunque, non è un fine, ma un mezzo per risolvere le controversie tra Paesi ed è unita ad altri strumenti come per esempio la diplomazia o l’economia.
Questa connessione è evidente sin dall’apertura del libro: “La strategia è l’affare più importante dello Stato, il terreno di vita o di morte […] si deve sondarla attentamente” (35), “I comandanti militari sono il supporto dello Stato” (p. 48), “un sovrano illuminato fa progetti, un buon comandante li coltiva” (p. 110). Sun Tzu, inoltre, non si riferisce alla sola politica interna, ma anche a quella internazionale “coloro che non conoscono i piani degli altri signori feudali non saranno in grado di approntare negoziati” (p. 105), ovvero serve conoscere il contesto internazionale del conflitto al fine di ottenere poi una pace soddisfacente.
L’economia è un elemento centrale su cui il generale deve sempre porre la sua attenzione per non esaurire le risorse a disposizione e per non danneggiare il proprio popolo. Anche per questo motivo Sun Tzu invita a evitare, per quanto possibile, la battaglia in campo aperto perché lì la vittoria è meno sicura, le guerre lunghe e gli assedi perché consumano energie e risorse e quindi il tutto va a detrimento della popolazione che si dovrebbe difendere. “Quando l’esercito viene esibito a lungo, la sua utilità nei confronti dello Stato si rileva inadeguata” (p. 41), ovvero operazioni militari troppo lunghe o inconcludenti non portano benefici allo stato, ma anzi diventano un peso economico.
“Un comandante intelligente si sforza di sottrarre i viveri al nemico” (p. 42), ossia sfruttare ciò che il nemico può offrire (armi catturate, prigionieri ecc) per i propri fini, in questo modo si indebolisce il nemico mentre al contempo ci si rafforza.
Il vincere senza combattere, che spesso viene utilizzato per sintetizzare il pensiero di Sun Tzu, va contestualizzato e capito in profondità, perché è essenziale prendere l’iniziativa per scompaginare il piano del nemico, metterlo nelle condizioni di rinunciare alla battaglia perché quelle condizioni non gli permetterebbero di vincere. Bisogna quindi creare le circostanze favorevoli a noi, in modo che la battaglia, se venisse combattuta, sia a noi favorevole o sia così negativa per il nemico che egli si trovi costretto a rinunciare. “La strategia migliore è quella che fa fallire i piani dell’avversario; quella immediatamente successiva fa fallire i negoziati” (p. 47).
Sun Tzu è anche attento al fattore umano sempre presente in ogni forma di conflitto, la guerra, in fin dei conti, è un’attività umana. Ne consegue che il ruolo del comandante è fondamentale sia come guida militare, quindi per via delle sue capacità tattiche e strategiche, sia come punto di riferimento per i suoi uomini e dunque per la sua volontà, determinazione e capacità di comando. In questo contesto emerge chiaramente l’attenzione che Sun Tzu rivolge al fattore psicologico.
In conclusione, L’arte della guerra è un testo agile di facile lettura che però sottolinea importanti aspetti del fenomeno bellico in senso lato. Un classico che non può mancare a chi vuole conoscere le dinamiche strategiche. Inoltre uno sguardo attenta del testo mostra come su molti aspetti sia più vicino a Clausewitz di quanto una certa vulgata vorrebbe far credere.