23 Novembre, 2024
La Grande storia della guerra

La grande storia della guerra

La guerra è un paradosso, da un lato è antica quanto le prime comunità umane organizzate, ma è costantemente proiettata al futuro (mira a realizzare un nuovo ordine politico, sviluppa armi e tecnologie che poi avranno un impatto sulle società), è semplice (si tratta di uno scontro armato, un duello), ma è complessa e imprevedibile nei suoi sviluppi anche più generali, è crudele e miserabile, ma è capace di ispirare i più nobili sentimenti e comportamenti.

In sintesi questo è il paragrafo di apertura del libro di Gastone Breccia, La grande storia della guerra. Uomini, stati e imperi in lotta (Newton Compton, 2020) che delinea fin da subito lo spirito del volume (che riprende il titolo di un altro testo fondamentale scritto da un grandissimo storico militare John Keegan), ovvero cercare di penetrare la natura della guerra mettendone in luce dinamiche, realtà e contraddizioni. In Occidente, e soprattutto in Italia, questo è un tema spesso ignorato, ma è centrale visto che la guerra è una realtà che, benché molti cerchino di convincersi che sia superabile e che in Occidente sia stata in effetti superata, rappresenta una costante della realtà politica sin dall’inizio dell’umanità. Di questo dobbiamo sempre essere consapevoli poichè, come scrive l’autore, “Non dobbiamo smettere di studiare la guerra: perché chi distoglie lo sguardo dal suo volto insanguinato rischia di comprendere ben poco l’uomo, la sua cultura e il mondo in cui vive” (p. 10).

I contenuti del libro seguono questa riflessione nel tentativo non tanto di capire e “inscatolare” la guerra, quanto di afferrarne le complessità, la brutalità e al tempo stesso la sua forza e la sua continua presenza nella storia, dove si possono trovare anche forti similitudini, pur nella diversità del fenomeno. A questo fine il testo si articola in cinque capitoli che si muovono in modo indipendente attraverso il tempo storico, ma affrontano tematicamente aspetti specifici della natura della guerra.

Perchè si fa la guerra

Il primo capitolo offre uno spaccato su alcune riflessioni che cercano di rispondere a quella domanda. La prima teoria che ci viene presentata è quella della scimmia assassina proposta nel 1961 da Robert Ardrey. A seguito di alcune scoperte antropologiche l’autore americano ipotizzò che il passaggio dalla raccolta alla caccia aveva trasformato l’australopithecus africanus in un predatore aggressivo e quindi incline alla violenza contro i suoi simili, ovvero il primo passo verso la guerra. Tale teoria fu aspramente criticata fino a essere rigettata da parte della comunità scientifica, ma così facendo si nega come sin dalle primissime tracce dell’uomo organizzato in comunità ci siano segni evidenti di forme di lotta e quindi di conflitto. Il focus si sposta sui motivi opportunistici per cui si fa la guerra e soprattutto sul fatto che essa sia condotta da comunità e quindi serve capire i motivi che spingono queste ultime a combattersi: opportunismo, dovere, bisogno, paura. L’esempio della Prima guerra mondiale è calzante. Non solo fu evidente come intere nazioni marciarono verso il conflitto sull’onda di manifestazioni di entusiasmo collettivo, una situazione paradossale se si pensa che proprio in quegli anni veniva pubblicato uno dei manifesti del pacifismo (La grande illusione di Norman Angell); ma mette anche in luce come una serie di circostanze (l’attentato di Sarajevo), inserite in un quadro già teso (il problema del nazionalismo nell’impero Austro-ungarico, la competizione tra Germania e Gran Bretagna e molte altre), portarono a uno dei conflitti più terribili della storia. In questo quadro la paura, secondo Breccia, giocò un ruolo centrale e non fece vedere ai singoli capi di Stato dalla giusta prospettiva il quadro generale.

Come si fa la guerra

Il capitolo due si concentra sul conflitto in sé, ma non è una discussione di tattica e strategia, bensì un qualcosa di più complesso e articolato. Il capitolo cerca di mettere in luce una contraddizione intrinseca della guerra: da un lato è l’attività umana più complessa perché in essa entrano in gioco, e in modo del tutto imprevedibile, fattori umani, ambientali, casuali; dall’altro lato, però, la guerra va pianificata, pensata e organizzata. Questo perché la guerra è un caos, ma per dominare quel caos, per riuscire a cogliere una linea di sviluppo ecco che serve razionalizzarlo il più possibile, coscienti però che tale razionalizzazione non è la Guerra nella sua realtà, ma una sua immagine semplificata e appunto razionalizzata.

Le prime pagine si focalizzano sui fattori umani e in generale sui fattori materiali che sono fondamentali per comprendere la guerra:

“gli effetti della stanchezza, della fame, della paura, della mancanza di sonno, del tempo meteorologico […] sono questi aspetti materiali a rendere la guerra tanto complessa e difficile, e sono di solito del tutto trascurati” (p. 52).

Questa citazione, che l’autore prende a prestito da Lord Wavell, descrive molto bene la centralità di quegli elementi che spesso negli studi sulla guerra non vengono presi in considerazione valutando invece solo raggio d’azione, gittata, numero di fanti o di mezzi corazzati ecc.

Attraverso l’esempio della formazione oplitica Gastone Breccia ci fa riflettere su un altro aspetto centrale oggi troppo spesso dimenticato:

“[o]gni esercito, in qualsiasi epoca, rispecchia inevitabilmente i caratteri propri di chi lo organizza, lo sostiene e lo manda in battaglia: è l’immagine riflessa della struttura sociale” (p. 74)

Il capitolo poi affronta il tema della strategia e della tattica chiarendo limiti e competenze di entrambe prima di esaminare un problema che, da un lato, pare a molti superato, ma che in realtà sarà ancor più fondamentale nelle guerre del futuro, ovvero quello delle comunicazioni. Comunicazioni che non arrivano, che arrivano in ritardo, che vengono intercettate, tutto ciò ha delle conseguenze sul campo di battaglia, sulle decisioni del comandante (che per definizione deve sempre decidere in base a informazioni imprecise, incomplete e non confermate) e quindi sui movimenti delle truppe e sull’esito finale. Per spiegare la complessità di questi temi, l’autore spende molte pagine a descrivere due diverse battaglie per tipologia e periodo storico, ma accomunate da problemi legati alle comunicazioni: Waterloo 1815 e Jutland 1916.

Dall’analisi delle battaglie l’autore fa emergere quattro elementi che diventano fondamentali per comprendere la vittoria o la sconfitta. Due sono elementi dati: spazio e tempo che vanno quindi impiegati in modo imprevedibile per ottenere sorpresa. Due elementi, invece, sono più legati alla dottrina e all’armamento: fuoco (qui da intendersi come il raggio d’azione delle armi) e movimento. Questo insieme di riflessioni conduce ad analizzare la battaglia di Leuttra del 371 a.C. così come il Blitzkrieg tedesco della Seconda guerra mondiale. In quest’ultimo caso si trattò di impiegare armi già esistenti e adottate sul campo di battaglia nel conflitto mondiale precedente, e dunque presenti in tutti gli arsenali delle maggiori potenze dell’epoca, ma di farlo in modo integrato unendo velocità, cooperazione tra le Armi e comunicazioni più efficaci. Non fu quindi la tecnologia in sé a creare un mutamento, ma fu l’impiego innovativo e in modo coordinato di diversi strumenti tecnologici che creò un qualcosa di nuovo che mise in crisi gli Alleati nei primi anni di guerra e non solo visto che i principi del Blitzkrieg rimangono tutt’ora ben presenti in diversi aspetti operativi dei conflitti più recenti.

L’ultimo macro argomento del capitolo riguarda la logistica, un aspetto centrale per qualsiasi tipo di guerra perché ogni “esercito marcia con il suo stomaco” (p. 186), ma spesso dimenticato o non trattato con la giusta profondità e consapevolezza. Per analizzare il punto si prendono in considerazione vari casi storici, come per esempio le difficoltà logistiche di Rommel in Africa che lo obbligarono a desistere dai suoi piani offensivi, oppure l’esperienza dei Mongoli in grado di spostarsi per distanze enormi. Il discorso della logistica, e quindi delle energie di cui può disporre un esercito, conduce automaticamente al problema del tipo di battaglia perché quest’ultima può essere decisiva solo se lo sconfitto non ha la forza di sostenere a lungo lo sforzo bellico, altrimenti si svilupperà, volenti o nolenti, un’altra tipologia di strategia, ovvero quella di attrito che mira a consumare sul lungo periodo le forze del nemico.

Dove e quando si fa la guerra

Il capitolo tre ci parla in particolare del rapporto tra guerra e spazio geografico. Indubbiamente esistono luoghi dove si deve combattere e questi iniziano a manifestarsi con lo sviluppo dell’agricoltura, poiché gli uomini ormai sedentari si trovarono nella condizione di dover difendere da minacce esterne i loro possedimenti, i loro raccolti, le loro case e le loro famiglie. Non potevano più spostarsi per evitare lo scontro. Ma anche le isole sono luoghi dove si deve combattere perché non c’è altra possibilità: un esempio storico importante è indubbiamente Malta.

Breccia poi ricorda altri luoghi decisamente poco ospitali, ma dove si è deciso di combattere per svariati motivi. Prima di tutto il deserto dove gli arabi, grazie alla conoscenza della collocazione delle oasi e della mobilità offerta da cammelli, riuscirono a ottenere importanti successi. Ma l’autore si sofferma anche sulla figura di Lawrence d’Arabia che condusse brillantemente operazioni di guerriglia nello spazio incontrollato del deserto mediorientale. Viene ricordata la guerra in alta montagna combattuta tra il 1915 e il 1918 tra Italia e Impero Austro-ungarico e gli sforzi che furono fatti per modificare l’ambiente in funzione delle necessità belliche.

Quest’ultimo aspetto conduce Breccia a riflettere sull’ingegneria come arma strategica. I romani furono maestri in questo costruendo strade e città per controllare il territorio e per poter spostare rapidamente e senza intoppi legioni e rifornimenti in tutti gli angoli dell’impero. Questa capacità indubbiamente rese possibile non solo la creazione di uno degli imperi più grandi della storia, ma anche di uno dei più longevi.

La guerra degli uomini

Il quarto capitolo riflette sull’elemento umano del conflitto analizzato sotto diversi punti di vista. Per prima cosa l’importanza dell’addestramento che è un aspetto centrale per ogni soldato e ogni esercito che si rispetti. Poi viene affrontato un tema oggi quanto mai centrale, ovvero il rapporto tra guerra e malattie visto che le condizioni igieniche dei soldati sono sempre state precarie. Molto interessante da questo punto di vista è la breve analisi che viene dedicata alla spedizione piemontese in Crimea nel 1855. In quel caso l’esercito sabaudo perse 4564 uomini, ma solo 32 furono uccisi in battaglia dal fuoco nemico, il resto venne sterminato da colera, tifo e varie altre malattie. Le condizioni di vita del soldato, in particolare del fante, sono sempre pessime, soggette non solo alle decisioni del nemico, ma anche e soprattutto alle circostanze ambientali: tipo di terreno, meteo, clima. Da questo punto di vista la cruda descrizione della battaglia dei Marines a Peleliu nel 1944 è un esempio di cui ricordarsi.

Il capitolo cinque riflette sulla guerra moderna, sul concetto di guerra di quarta generazione, sulle insorgenze del XXI secolo, sul concetto di asimmetria. Si ragiona anche in modo convincente sui limiti degli eserciti moderni e in particolare sul problema legato alla protezione e al concetto di evitare danni collaterali che creano delle situazioni di cui gli irregolari possono avvantaggiarsi. Temi che l’autore aveva già affrontato nel suo volume sulla guerriglia.

Nelle conclusioni del volume, Breccia ci espone brevemente i suoi principi dell’arte della guerra tratti dalle riflessioni condotte nelle pagine del libro: flessibilità perché bisogna essere sempre pronti a far fronte a imprevisti; semplicità perché tutto in guerra si complica; rapidità; imprevidibilità che può disorientare il nemico; preparazione sia teorica sia pratica; determinazione.

Il testo è piacevole da leggere e scorrevole, non segue una linea cronologica per affrontare la guerra, ma più un approccio tematico per approfondire singoli aspetti anche in diversi momenti storici. Il volume è sicuramente interessante e utile per approfondire e capire meglio la natura della Guerra.

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